Leggerezza, insouciance e uno charme squisitamente francese nel segno di un certo intimismo alla Eric Rohmer, oppure rievocando le inquadrature di Claude Lelouche e della Nouvelle Vague. Ha un sapore romantico, non scevro di un certo brio bobo, la collezione primavera-estate 2024 di Chanel. Per la bella stagione Virginie Viard ha tradotto la passione di Coco per le architetture moderniste filtrate dallo slancio verticale dei giardini cubisti nella villa dei Noailles in capi vacanzieri freschi e molto facili, fluidi, perfetti per un soggiorno in Provenza facendo tappa intermedia a Saint Tropez e a Biarritz.
Scorrono vestaglie di seta da portare annche in piscina al Carlton mentre si inseguono le righe sulle spugne e i tweed bouclé secondo ritmi grafici che non sono scanditi da un vero e proprio filo conduttore avvicendandosi alle fantasie floreali che ornano i tailleur in neoprene oppure animano gli abiti di pizzo e georgette stile déjeuner sur l’erbe. Di certo i fiori in primavera, per citare Miranda Priestley, non sono esattamente avanguardia pura anche se per la prossima estate le vedremo ovunque e non solo nelle boutiques di Chanel: l’idea della stilista è comunicare un feel di estrema libertà senza impennate, senza fronzoli e senza virate incontrollate. Tutto è luminoso e colorato. Geometrie e patchwork cedono spesso il passo a giochi di asimmetrie. Per la stilista francese il guardaroba della prossima estate si può compendiare in tre parole chiave: tweed, sportswear e pizzo, mixati con quella che la maison definisce ‘eleganza nonchalante’. E così certe giacche incrociate si portano con disinvoltura rilassata e con le mani in tasca. L’attitudine è chilling chic e casualmente aggraziata. A volte più che Chanel nei look di stagione sembra di rivedere le silhouettes elementari, svelte e fluide à la Patou, molto Suzanne Lenglen con un twist di Charlotte Casiraghi. Coco disegnava i suoi modelli come un ingegnere avrebbe progettato i suoi aeromobili: nitore assoluto e frugalità lussuosa. Questa è tuttora la ricetta del modernismo di Chanel.
Tanta disciplina e buon senso hanno in parte soppiantato quel gusto della sorpresa e del guizzo stilistico a cui ci aveva abituati Karl Lagerfeld: un po’ di sicuro ci manca quella vena potente e poliedrica, decorativa in modo colto e sontuoso, naturalmente esuberante, ma del resto la maison di Rue Cambon ora ha deciso di voltare pagina, e lo sta facendo a ragion veduta. Per calarsi meglio nel mondo della creatrice subentrata al Kaiser della haute couture, occorre prestare attenzione alle figure femminili che occupano il front row: le donne schierate nella prima fila dello show, ormai devote alla stilista, sono Paris Hilton e Caroline de Maigret, Penelope Cruz e Brie Larson, senza dimenticare che molto vicina alla stilista è anche la regista Sophia Coppola oltre a Mai Wenn che ha vestito straordinari abiti Chanel d’archivio in ‘Madame Du Barry’, non certo bionda, non certo valchiria, non certo nineties.
Occorre guardare il modo in cui parlano e ragionano, il modo in cui si truccano e portano i capelli. In questo senso è un indizio eloquente la bellissima modella scelta dalla stilista come ambasciatrice del matra di stagione: è Rianne Van Rompey la protagonista del video teaser della collezione ideato ancora una volta da Inez e Vinhood. Si tratta di donne più intellettuali che coquettes, più longilinee e atletiche che burrose e giunoniche, più more che biondo platino; donne che in un modo o nell’altro hanno un vissuto intenso e tanti impegni professionali e che con la loro identità devono dare vita agli abiti: basta divismi, basta con le estrosità quindi perché è la donna a dare carattere all’abito con la sua individualità e mai viceversa. Insomma il cambio di marcia rispetto al passato salta subito agli occhi e così anche l’impronta femminile, ergo pragmatica e realistica, della stilista.
Non a caso il mood generale è normcore e prende le distanze dall’immaginario esuberante e postmoderno di Karl Lagerfeld depurato di tutti i suoi elementi potenzialmente sovversivi e controversi che però lo rendevano inimitabile, avvincente e visionario. La maggior parte dei look che hanno sfilato more solito al Grand Palais sono permeati da un’eleganza conservativa e reticente. Del resto forse è questo lo zeit geist della moda odierna: un guardaroba saggio e accessibile che non indulga a provocazioni o a zampate troppo roboanti perché l’ostentazione è volgare. E che sia congeniale a valorizzare il più possibile i veri feticci di casa Chanel: borse, scarpe, dettagli preziosi (perle, catene d’oro, camelie), e vari ornamenti di styling che ictu oculi sembrano del tutto inessenziali ma che a uno sguardo più attento hanno personalità e in fin dei conti trainano le vendite.
La fedeltà ai codici della fashion house probabilmente non dà il batticuore, ma rispecchia giocoforza la strategia della maison. Prettyness è la nuova password: il lato giocoso e sognatore non è scomparso, ha solo mutato la sua epifania. E’ uno stile resiliente ma anche spensierato che si rivolge alle donne vere con soluzioni easy e understated. Peraltro il lusso va verso questa direzione, sobria, quasi anonima, è innegabile. Del resto chez Dior Chiuri preferisce il look slim, asciutto e neo bourgeois di Marc Bohan al massimalismo di Galliano: lo ha espressamente dichiarato ed è più consono alla sua narrazione.
E’ un racconto nuovo, Viard non appare isolata: sono donne che viaggiano, che si muovono, che usano la testa più che il corpo (pur sempre tonico), gli anni’80 sono archiviati, l’opulenza è nei dettagli che fanno la differenza più che mai, e la si deve esaminare da vicino. Sono donne viste da un’altra donna e Coco Chanel non era certo un uomo anche se certe volte avrebbe preferito esserlo. Se questo è il messaggio della marca, che in fondo ha finito già negli anni’60 per codificare dei classici BCBG, allora bisogna rammentarlo e occorrerà farsene una ragione perché questo è il pubblico di oggi. Ieri c’era Romy Schneider ora c’è Vittoria Ceretti. E’ Chanel bellezza.
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