Dopo il womenswear di ottobre il nuovo stilista di Gucci Sabato De Sarno è stato atteso al varco dal mondo fashion per una nuova prova, egualmente preceduta da palpitante attesa: il debutto nella moda uomo che a suo tempo fu uno dei fiori all’occhiello del suo predecessore Tom Ford (per la foto di intro del line up finale si ringrazia il fotografo Valerio Mezzanotti). Avevamo intercettato qualche sporadica anteprima di un progetto maschile del nuovo stilista di Gucci in varie occasioni, soprattutto al gala dei Lacma e poi ai Golden Globes sempre a Los Angeles dove Ryan Gosling, e ancora prima l’osannato Pedro Pascal, hanno sfoggiato un completo simile, nero con piping bianco semplice, grafico, moderno, efficace. A proposito di questa prima declinazione maschile del nuovo corso firmato De Sarno alcuni hanno parlato di un doppione dello show femminile, quasi che la sfilata presentata dai vertici di Gucci e di Kering (Bellettini la top manager temutissima schierata in prima fila fra Pinault senior e junior) nella Fonderia Macchi di Milano fosse una replica molto fedele, uno xerox per così dire dell’incipit del designer partenopeo chez Gucci. In realtà ciò è vero solo in parte. Perché se da un lato ritroviamo qui nella prima collezione maschile, che peraltro a differenza di quella femminile è dedicata alla stagione invernale 2024-25, alcuni colori e materiali già visti e apprezzati nella parte femminile saggia ma accattivante (il rosso ancora, il pitone barré lucidato, certe lunghezze shock dei capispalla che faranno tendenza, un uso atipico delle frange), la versione uomo della storia, anche se un po’ acerba, lascia già intravedere i germi di una vena di glamour brutalista.
Minimal ma con un twist. Genderless ma anche no. Sexy ma con stile. Equilibrato e amante del gusto italiano, rassicurante per chi queste collezioni deve venderle e farle uscire dai negozi, De Sarno traccia il profilo di un uomo giovane, atletico quanto basta, e piuttosto alto di statura per poter portare con la necessaria nonchalance certi paltò in pelle o panno lunghi fino ai piedi che si aprono sulla schiena quasi all’altezza delle scapole o i bomber sfiziosi proposti anche in colori aciduli o ancora certi soprabiti austeri ma un po’ lascivi che presto a quanto pare diventeranno il cavallo di battaglia del brand. Un uomo gentile, un maschio anti patriarcale che ha i connotati di Tananai e soprattutto di Mahmood in passato spesso associato a Prada, e che non a caso siedono nel front row. Del brand Made in Italy che negli anni’90 era il piu’ temibile antagonista di Gucci, oggi De Sarno riprende alcuni spunti, come nel womenswear c’erano vaghi riferimenti a una iconica collezione ready to wear di Gianni Versace del 1996. L’attitudine però è diversa e anche parecchio da quella del maschio pradiano votato allo sportswear, alle avventure, all’ironia e ai concettualismi sperimentali.
Il design di De Sarno non ha velleità avantgarde e non è neppure un saggio di sperimentalismo, ma è quello che richiedono i tempi, è molto prudente, italiano e francamente forse è proprio quello che si addice a Gucci in questa fase storica così complessa. Un modo di vestire che è possibile personalizzare in ogni momento come prima dello show pare abbia sottolineato il giovane attore Lorenzo Zurzolo anch’egli insieme a Idris Elba fra gli ospiti blasonati dello show. Con la sua epurazione neoclassica, non più clamorosamente asessuata come nel 2015, De Sarno ribadisce l’enfasi sugli accessori nuovi e desiderabili che, come invece troppo spesso si dimentica parlando del marchio, sono e devono restare il volano dei conti di Gucci, e questo dovrebbe essere pacifico per tutti ma se stiamo qui a scriverlo giocoforza per molti ancora non lo é. Azzerando i bottoni o per lo meno occultandoli sulle giacche e i paltò dalle spalle squadrate (altra reminiscenza pradiana ma opportunamente corretta con certi profili trompe l’oeil che doppiano i colli delle giacche color burro) emerge l’esaltazione di una verticalità svelta e longilinea che ricorda l’architettura brutalista appunto, un po’ secca magari ma anche sexy se pensiamo a certi look di pelle shiny che sarà un piacere osservare e toccare, o alle canotte iridescenti da sfoggiare sotto la giacca o anche da sole in previsione di una serata danzante di baccanali.
C’è poi la sensualità un po’ romantica delle bluse croccanti di faille e seta lavata che sembrano talora lievitare intorno a un busto atletico, e finalmente non più efebico come quello dei modelli di Michele sempre piuttosto macilenti e creepy. L’idea del designer è presentare un guardaroba basic di pezzi fungibili che, nella loro asciutta e frugale essenzialità, smentita qua e là da dettagli vezzosi (colletti di cristalli e gracili cravatte scarf-tie che pendono dal collo come sottili lacci indie sleaze) intesi come fugaci concessioni alla vanità degli uomini giovani di oggi, nascono per valorizzare borse (spesso in pellami iridescenti e in forme easy e pratiche) e scarpe (platform non strutturate ma anche mocassini horse bit con dettagli metallici e simili alle creepers). Nulla di eclatante, solo qualità e solidità, ed è forse poco?
Di sicuro si tratta di capi e oggetti da guardare da vicino, con calma, un lusso slow ma neppure tanto borghese. Forse a queste collezioni così normcore (perché in fondo anche di normalità abbiamo bisogno per tornare a respirare…) si attaglierebbe maggiormente un contesto più intimo e confidenziale, congeniale a un dialogo ravvicinato con lo stilista e la sua community per parlare, riflettere confrontarsi. Arriverà anche questo. Per ora il giudizio definitivo è sospeso ma una certezza esiste: lo streetwear e le balzane elucubrazioni filosofiche del passato non abitano più qui. Piuttosto sta germogliando con timidezza un progetto nuovo che guarda alle arti visive e all’heritage del mondo Gucci, senza schemi o velleità, senza pressioni, senza frenesia, senza troppo bling. Ci rivediamo fra sei mesi.
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