I quasar ultra luminosi svelano i misteri dei buchi neri primordiali

I quasar super luminosi formatisi nel primo miliardo di anni dopo il Big Bang stanno rivelando informazioni preziose sull’origine dei buchi neri supermassicci primordiali. Questa scoperta è stata possibile grazie al progetto Hyperion, diretto dal ricercatore italiano Luca Zappacosta dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che utilizza il telescopio spaziale Xmm-Newton per studiare i quasar più antichi, ovvero i nuclei galattici che ospitano buchi neri supermassicci. I risultati preliminari pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics mostrano che le regioni centrali dei quasar primordiali, formati durante l’epoca della reionizzazione in cui sono state accese le prime stelle, differiscono notevolmente da quelle dei quasar osservati in periodi cosmici più recenti.

Secondo Zappacosta, i primi quasar presentano differenze significative nelle caratteristiche delle loro regioni centrali rispetto ai quasar osservati in periodi cosmici meno lontani. In particolare, le proprietà delle regioni più vicine al buco nero, che emettono raggi X, sono molto diverse.

La ricerca è partita da una domanda fondamentale: come è stato possibile formare questi buchi neri così massicci in meno di un miliardo di anni, ovvero nel breve intervallo di tempo tra il Big Bang e l’epoca cosmica della reionizzazione in cui sono stati osservati? Attualmente, ci sono due teorie proposte: o si sono formati a partire da buchi neri iniziali già molto massicci, chiamati “semi”, oppure hanno avuto un processo di formazione estremamente rapido con alti tassi di accrescimento. Questa domanda evidenzia la nostra mancanza di conoscenza sui processi di formazione dei buchi neri nell’universo primordiale e, di conseguenza, anche sulla formazione delle galassie nello stesso periodo. È ormai evidente che l’energia rilasciata dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie ha un impatto significativo sul processo evolutivo delle galassie stesse. Comprendere la formazione dei buchi neri contribuisce a comprendere la formazione delle prime strutture cosmiche, comprese galassie e protoammassi di galassie.

L’esplorazione di questo “territorio completamente di frontiera” è appena iniziata e si prevede che potremo conoscerlo meglio tra un decennio, quando saranno operativi nuovi satelliti per l’osservazione dell’universo nei raggi X. Questi satelliti permetteranno di studiare i quasar ancora più antichi e di rivelare ulteriori informazioni sull’origine dei buchi neri supermassicci primordiali.

In conclusione, il progetto Hyperion ha aperto nuove prospettive sulla comprensione dell’origine dei buchi neri supermassicci e la formazione delle prime galassie. I risultati preliminari dimostrano che i quasar più antichi presentano caratteristiche diverse rispetto a quelli più recenti, evidenziando la necessità di approfondire le nostre conoscenze sui processi di formazione dei buchi neri nell’universo primordiale. Il futuro dell’esplorazione dei quasar si prospetta promettente e potremo ottenere maggiori informazioni grazie ai prossimi satelliti dedicati all’osservazione dei raggi X.

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