Disney: Come ci ha manipolato la mente

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BEIJING, CHINA - JULY 26: People visit the "Mickey: The True Original & Ever Curious" exhibition at 798 Art Zone on July 26, 2022 in Beijing, China. (Photo by Hou Yu/China News Service via Getty Images)

Un mondo di fantasia che ci ha catturato

La fondazione dell’impero Disney da parte di Walt Disney il 16 ottobre 1923 ha dato inizio a qualcosa che, nel bene e nel male, ha influenzato profondamente le nostre vite. Il mondo di fantasia creato da Disney, con i suoi personaggi, le storie e le indimenticabili canzoni, ha conquistato i nostri cuori e tessuto i nostri ricordi. Ma allo stesso tempo, ci ha anche ingannato, facendoci accettare cose sconvenienti e irrilevanti.

Traumi e messaggi discutibili

Pensiamo a Biancaneve (1937), che entra in una casa di uomini e si mette a rassettare tutto, finendo addormentata tra coperte sudicie. O alla Bella addormentata nel bosco (1959), in cui un principe spia una ragazza sola nel bosco e poi balla con lei. Oggi, queste situazioni probabilmente ci porterebbero in caserma. E cosa dire dei traumi? Dumbo (1941) viene separato dalla madre e Bambi (1942) perde la madre. È comprensibile che alcuni si siano indignati per la vendita dell’illusione che si possa vivere con un centinaio di cani (La carica dei 101, 1961) o nella giungla in mutande sulla pancia di un orso o tra le zampe di una pantera (Il libro della giungla, 1967).

Le canzoni che ci hanno segnato

Ma come millennial, non posso fare a meno di ringraziare Disney per le sue canzoni. Grazie a loro negli anni ’90 abbiamo sperimentato la bellezza di sentire il mondo tutto per noi (Il mondo è mio, Aladdin, 1992) e la consapevolezza che nulla di ciò che ci circonda davvero ci appartiene (I colori del vento, Pocahontas, 1995). È grazie a una delle hit più belle della storia del cinema se abbiamo associato l’idea della continuità della vita a quella di una giostra che gira e non si ferma mai (Il cerchio della vita, Il re leone, 1994). E non c’è da stupirsi che il pop sia stato un genere così di successo in quegli anni, grazie alle voci delle muse di Hercules (1997) e alla maestria di Phil Collins per Tarzan (1999).

Disney adult: una generazione iper-gasatissima

Ma è stata la musica a portare i bambini degli anni ’90 a diventare gli adulti Disney di oggi? Quelli che fanno proposte di matrimonio a Disneyland, collezionano tazze e borracce dei personaggi e indossano cerchietti con le orecchie da topo? Siamo tutti un po’ così? La risposta è sì.

Disney: una narrazione in evoluzione

Negli ultimi anni, la Disney ha cercato sempre di più di mettere in comunicazione il suo mondo immaginario con quello reale, sensibilizzando e sensibilizzandosi a un nuovo tipo di narrazione. Ha dato voce alle donne che combattono anziché farsi salvare dai principi (Mulan, Vaiana, Raya). Ha rappresentato famiglie diverse e messo in luce le pressioni delle aspettative (Lilo & Stitch, Encanto). Ha promosso l’inclusività con personaggi omosessuali (Strange World) e ha rappresentato le minoranze etniche (Frozen, Frozen II).

I live action e l’inesauribile dibattito

Ma la Disney ha ancora da fare i conti con il dibattito sui live action. Siamo ancora vulnerabili a ogni decisione di casting o sceneggiatura che riguardi i personaggi e le storie che consideriamo intoccabili. Alcuni hanno apprezzato i live action che riprendevano fedelmente gli originali, mentre altri hanno criticato quelli che cercavano di scostarsene. Il dibattito si è intensificato con la scelta di attori come Yara Shahidi per il ruolo di Trilli in Peter Pan & Wendy e Halle Bailey per il ruolo di Ariel in La Sirenetta.

Conclusioni

La Disney ha lasciato un segno indelebile nella nostra cultura e nelle nostre vite. Ci ha incantati con le sue storie e le sue canzoni, ma ha anche sollevato questioni e dibattiti. Nonostante tutto, continuiamo ad amare e ad essere affascinati da questo mondo magico. E forse è proprio questo il suo incantesimo più potente.

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