La richiesta di assoluzione per l’ex marito di una donna nata in Bangladesh, ma cresciuta in Italia, che ha denunciato le violenze subite, ha suscitato polemiche. Il pubblico ministero di Brescia ha motivato la sua posizione affermando che le violenze sono il risultato di un’impianto culturale e non della volontà dell’imputato di annichilire la coniuge. La donna ha reagito indignata, chiedendosi dove sia la giustizia e la protezione per le donne. Ha raccontato di essere stata costretta a sposare un cugino quando aveva 17 anni e di essere stata trattata come una schiava, subendo botte e umiliazioni. La questione sollevata è se sia possibile giustificare i maltrattamenti attribuendoli a una diversa cultura. Anche in Italia, infatti, la prevaricazione dell’uomo sulla donna è figlia di una cultura patriarcale, ma anni di battaglie femministe hanno cercato di cambiare questa mentalità. La sentenza è prevista per ottobre e nel frattempo la donna si è costituita parte civile contro il marito. La politica si è mobilitata, con la richiesta della vicepresidente dell’Europarlamento di mandare ispettori in Procura e le dichiarazioni del ministro Calderoli che definisce pericoloso il messaggio del pm. Si fa riferimento anche a precedenti casi simili, come quello di un telepredicatore islamico assolto per maltrattamenti e lesioni alla moglie. Tutto ciò solleva interrogativi sulla tutela dei diritti delle donne indipendentemente dalla loro cultura di appartenenza.
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