La Valle delle Bambole di Schiaparelli

E’ texano ma lavora a Parigi, nel mondo dorato della haute couture dove è attivamente impegnato da alcune stagioni nel rilancio di Schiaparelli, fiore all’occhiello di Diego Dalla Valle che acquistandolo, dopo Roger Vivier, si è aggiudicato con somma lungimiranza un altro succulento pezzo di storia della moda, e per giunta uno dei più preziosi. Se nell’alta moda Daniel Roseberry, direttore artistico della maison parigina dal 1927 sinonimo di estro e arte decorativa à porter sta mietendo unanimi consensi, di certo il pret-à-porter non è da meno.

Fra i nuovi player della scena della moda nell’era del quiet luxury più trito e anodino, Roseberry è di sicuro uno degli interpreti più interessanti: tutto si può dire tranne che le sue sfilate siano noiose; questo è un fatto pacifico per tutti. E oggi, spiace dirlo, ma non è poco! Il ragazzo ha la stoffa, eccome. La sua estetica costellata di simboli, metafore e di amuleti magici mixa Hollywood e Dallas, il flair europeo e la narrativa d’oltreoceano, il dolcevita stile skeleton e la gonna pareo, la giacca da executive e gli ampi pantaloni da Calamity Jane.

Quando fra i saloni ridondanti stucchi e boiseries dorate di un hotel particulier parigino in Place Vendome la sulfurea Kendall Jenner si materializza inguainata in un tubino di tulle scarlatto scintillante di scaglie di luce e di unghie finte, le chiome corvine appena cotonate, sembra apparire fra il pubblico tutto un mondo altamente evocativo di donne fra i musical di Broadway più altisonanti e l’intensa drammaturgia di Tennesse Williams: c’è Blanche appena uscita da un match con il suo Kowalsky, ci sono le misteriose dark ladies di Hitchcock e poi c’è soprattutto la Liz Taylor che duettava con Paul Newman sul tetto che scotta. Last but not least, c’è la Barbara Parkins di ‘Valley of dolls’, senza dimenticare ‘Mulholland Drive’ di David Lynch e ci sono, più bellicose che mai, le valchirie di Helmut Newton.

A queste belles dames sans merci rifà il verso anche una voluttuosa Shalom Harlow, la lucida zazzera insolente, infilata in una giacca scura dalle spalle da rugbysta che stridono con le lunghe gambe da gru velate da calze fumé un po’ Angelo Azzurro, un po’ Bond Girl, e un po’ Roxie di Chicago: a quanto pare in barba al tempo che fugge malandrino, la ragazza non ha perso smalto. Anche lei contribuisce a conferire al racconto di stagione quell’energia così vivida e l’efficacia icastica che, è bene dargliene atto, pochi sanno esprimere oggi. I tic e le ossessioni della sublime creatrice di moda amica di Dalì e di Cocteau, fan di Poiret e ricordiamolo bene, amica di Katharine Hepburn e Mae West, ci sono tutti e diventano bottoni gioiello a forma di capezzoli e buco della serratura, di lucchetti e di colombe, fino a riprodurre quegli occhi che ti scrutano, attenti e beffardi, come quelli di Man Ray e di Luis Bunuel in ‘Un chien andalou’.

Roseberry è un formidabile narratore della couture, il suo è un occhio da cinema e in più possiede una personalità magnetica che non teme di sfidare le convenzioni alzando l’asticella della sperimentazione e della dissacrazione. Ma non è un pifferaio magico perché non è un bluff, e ciò che promette non manca mai di mantenerlo in termini di lavorazioni, perizia artigianale e prodotto fashion. Pertanto la sostanza non manca mai, come è giusto che sia. Ci sono i tessuti straordinari, i più pregiati: dal tweed sablé al faille lavato, dai ricami in rafia al velluto e la vernice, usata per i sabot più nuovi. Ci sono trovate divertenti come l’idea di usare il nastro di Schiap, quello con cui la stilista romana usava avvolgere il suo profumo Shocking, per rifinire sia le giacche da mattino che le molli bluse drappeggiate da appuntamento galante. E poi ci sono altre ‘bambole’, quelle desiderabili borsette da ereditiera di Beverly Hills: la face bag e la Schiap proposta stavolta con strisce di pelle stampate con l’inconfondibile metro a nastro e l’interno rosa shocking, il tutto ora declinato in versione color block con la fibbia di ottone martellato a forma di buco della serratura: sono sontuosi e capricciosi oggetti di qualità che cercano sempre di rubare la scena ai look e ai gioielli, concepiti come sculture indossabili.

E’ uno show confidentiel che lascia col fiato sospeso e, anche se è destinato a vestire il quotidiano, perché questo è lo scopo del ready-to-wear (e Schiap lo sapeva molto bene), deve fare scalpore: con la sua immaginazione fervida e la sua coraggiosa e provocatoria ironia lo stilista sta dimostrando cosa vuol dire proiettare un brand storico nel mondo contemporaneo, mai didascalico, sempre fresco e sorprendente, e soprattutto imprevedibile. E’ questa la moda che ci piace. Chapeau. Che sia lui il nuovo Lacroix? Forse no, forse è solo Roseberry che fa sé stesso e assecondando il suo sacro fuoco dimostra di essere davvero a suo agio in un contesto aulico ma pur sempre fuori dagli schemi, ossequioso ai quei codici che rispetta ma che sa rinnovare alle fondamenta per continuare a rendere insolito l’ordinario. E non è forse questo il senso della moda?


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