Una rosa scarlatta, carnale e vibrante come quella del romanzo di Nathaniel Hawthorne, campeggia sulle tuniche di chiffon lineari come filo conduttore di uno show mozzafiato che si può leggere come sublime atto d’amore a Lee Mc Queen e alla moda, nel segno di un lavoro creativo che la designer Sarah Burton ha egregiamente portato avanti per ben tredici anni. Un tributo finale al suo sommo talento, lezione di stile per tutti.
E’ commossa Naomi Campbell quando fasciata da un sensuale abito argento da glamazon in tulle ricamato di perline, calca la pedana concludendo uno show memorabile. Non trattiene le lacrime l’agguerrita pantera delle passerelle dalla chioma leonina perché quella a cui sta partecipando è l’ultima sfilata di Alexander Mc Queen sotto la direzione artistica di Burton: alla fine dello show parigino Sarah abbraccia François Henry Pinault, alla guida di Kering che attualmente controlla il marchio sinonimo di sfarzo e bellezza.
Ed è arte pura questa collezione strepitosa che parla al cuore e riflette sul significato della moda oggi, troppo spesso relegata in una deprimente e monotona dimensione di quiet luxury che ci auguriamo sia solo una fase transitoria. Se la moda è avanguardia e provocazione, ma anche romanticismo e bellezza, allora di sicuro Burton ha sempre fatto onore al suo ruolo di direttrice creativa del brand fondato da Lee Mc Queen negli anni’90. Un marchio di grande impatto e dai risvolti dark compendiati da un teschio, simbolo della maison e che la stilista inglese ha contribuito davvero a fondare insieme al compianto e geniale Lee. Straordinario il livello di raffinatezza dell’artigianalità profusa con munificenza in questa collezione: dai corpetti modellati sul busto che citano le forme vittoriane ma anche certe potenti soluzioni scultoree di Issey Miyake del 1980, ai ricami d’argento fino a quei fili flottanti che ondeggiano intorno alla silhouette quasi radiografata da disegni color sangue.
“Questa collezione è ispirata all’anatomia femminile, alla Regina Elisabetta I, alla rosa rosso sangue e a Magdalena Abakanowicz, l’artista polacca trasgressiva che ha sempre rifiutato ogni compromesso sulla sua visione. La sfilata, invece, è dedicata a Lee Alexander McQueen, che ha sempre lavorato sull’empowerment femminile, e alla passione, al talento e alla lealtà del mio team”, spiega sinteticamente la stilista nella nota stampa della sfilata. La forma degli abiti e dei tailleur, inconfondibilmente Mc Queen, è una clessidra un po’ fifties e un po’ eighties, ed enfatizza le spalle, le curve muliebri e la sottigliezza del punto vita valorizzato in chiave sartoriale, perché tailoring estremo e immaginifico è la buzzword del brand anglosassone.
Ogni exit è da standing ovation: dai look stendhaliani in rosso e nero fino al mini dress di guipure dorata che ricorda la corte dei Tudor, dal total look in denim con il corpino effetto guepière, passando per la maglieria in 3D, i blazer strutturati costellati di cut outs e gli iconici pantaloni bumster, fino al mini abito di seta lucida e compatta che apre lo show: nero, flessuoso, indossato da un’assertiva Kaia Gerber. La sfilata celebra l’empowerment femminile che si traduce in forme imperiose e bodyconscious, poetiche e sanguigne in quelle evocazioni dell’anatomia femminile che sono very Mc Queen.
La magniloquenza dello stile della fashion house non si esprime solo negli outfit ma anche negli accessori: chi non ricorda le magnifiche scarpe dalla foggia arcuata ribattezzate ‘armadillo’? Lee Mc Queen le lanciò in una sfilata davvero unica che ho avuto il privilegio di vedere a Parigi anni fa, e Lady Gaga, insieme a Dafne Guinness, ne ha fatto un feticcio. La qualità della produzione della griffe è documentata dai numerosi materiali di grande pregio usati nello show: sete, tulle impalpabile, pizzo dorato, damasco jacquard, pelle lavorata a mano e plasmata ad arte, maglieria tubolare, lane preziose. E poi, oltre al triangolo amoroso bianco-rosso-nero protagonista del défilé, si affaccia in passerella l’oro opulento della corona inglese e l’argento dell’universo futuribile e sci-fi spesso presente nell’immaginario onirico e super umano del geniale stilista inglese: dall’abito da fairy tale in tulle vaporoso e fili argentati alla sinuosa cat suit doviziosamente ricamata di cristalli.
Fino alla bellezza sovrana dei due abiti fiore che riproducono nelle pieghe del gazaar di seta (un tessuto corposo spesso usato da Balenciaga ma qui trattato con ineguagliabile leggerezza) i petali di un’orchidea appena sbocciata. Sono queste le emozioni che amiamo, quelle che la moda dovrebbe continuare a trasmettere. Un capitolo di creatività davvero elevato e davvero esaltante in una fashion week internazionale purtroppo non così esaltante.
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